2007
FASI DI LUNA - GIACOMO L'HA DETTO - LA PERFETTA MARGHERITA - CASO...PREDETERMINATO...
GOCCIA DI SOLE - ATTESE - ESTASI - PERLA DI RUGIADA - RONDINI
L'OMBRA DEL CUORE - ULTIMA SPERANZA - PAURE, INCENSI E SPERANZE - IL TEMPO - MONACI DI ZAFFERANO - WRITER
IN PUNTA DI PIEDI - HIDALGO - FILEMONE - IL VIOLONCELLO DI ANNA - PAOLINA E IL PRIMATE - IL "SI" DI AURORA
IL TUO DOLORE E' IL MIO - SIGNORA PER LEGGE - ARCHEOLOGIA - GUITTO - L'EDITORE D'ILLUSIONI - IL SORRISO DI SAFFO
LO SCETTRO DI SAFFO - MESSAGGINI
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(a Bruna)
Con malessere
t’ascondi,
non vista ristai
mentre ti cerco.
Splendida risorgi
d’intorno
e in me
quando sanata
sorridi.
Giacomo l’ha detto
e ridetto,
“fanciullo mio “ l’ha capito
e gode.
E tu uomo ?
Fuori della “stagion lieta”
procedi a fatica,
senza meta,
in vanilòquio chiuso.
Petali perfetti,
bella margherita!
Perfezione oscura e vana?
Ristai per te , per me ,per noi,per Lui?
Splendida mi fissi impertinente.
Idea Sua del possibile?
Evolversi improbabile del Programma?
O sogno iniziale che avanza
attraverso spazi siderali,
dalla notte dei tempi
al nostro breve giorno,
verso l’alba
d’un futuro infinito.
Idea primigenia, il caso.
Determinato all’origine!
Dell’esistente apparente.
Nell’evoluzione casuale
in alveo cosmico,
corollario ci appare
il libero arbitrio,
fecondo d’infinite varianti.
Le religioni, in esse,
ragionevoli interpreti
di realtà e misteri.
Una goccia intrisa di sole
mi fa segnali al mattino.
Insiste, sull’erba mossa dal vento,
d’arcobaleno vestita.
La guardo, la penso, la studio
e lei così mi trattiene…
ad Aurora
Con tua madre
ti ho atteso
al di qua della luce.
Ora vuoi che si apra
per te quella porta.
Per inondarci di luce
prima che la notte
incomba.
Amore,
sembiante divino
fatto dei pensieri più belli
del mio triste
e infecondo peregrinare
di stagione in stagione.
Levo la coltre dei sogni
e mi trovo,
curvo e solitario,
a rimirar propositi
e incompiuti desideri
talmente belli
da farmi parer felice.
Fanciulla,
voglio donarti
una perla di rugiada
fra due fili d’erba.
Nulla mi devi in cambio!
Voglio però serbare
un mio pensiero di te,
volta a me, fanciullo.
Un possibile sguardo,
pieno di “forse”,
che mi accarezzi,
mosso da ciglia lievi
nere e sognanti.
Lo posso serbare,sai,
all’ombra del mio cuore,
impigrito e deluso,
intento a battere
solo per sé.
Oggi
nel mio angolo
quelle rondini
intrecciano voli
sapienti di certo.
Cerco di capire,
quasi mi sfiorano
mentre l’inseguo
con attento sguardo.
Una mi dice qualcosa
o mi deride,
cerco di capire,
mentre mi passa vicino,
bella, sicura,
serena, convinta,
godendo nell’aria.
Il mio sole declina
e l’ombra del mio cuore
ricopre zone inesplorate
e mai raggiunte.
Poeta,ultima speranza,
leva quel drappo nero
per me greve,
fammi veder le stelle.
Dimmi dove riposar lo sguardo
smarrito ed in affanno.
Con sembiante di soluzione,
il paradiso, dopo.
Umani in prova
che piantano cipressi,
cupole, campanili e minareti.
Ingiurie e sofferenze
verso un’intensa luce.
Tecnicismo umano !
Poteva essere
il paradiso “prima”?
O “nulla”,dopo, esistere ?
Vivere un sogno
o sognar d’essere
in forme di “concreto esistere”.
Umani in prova
per un piacer supremo ?
A che preghiere e suppliche
all’onnipotenza primigenia ?
Non può aver senso, per noi,
da luce infinita,
dopo oscuri meandri,
dov’eravamo, giungere.
Perché mutar dovrebbe
del fiume il corso
per i lai d’un pesce ?
Perché dovrebbe aver favori
un atomo in ginocchio ?
Perché mutar dovrebbe
l’incenso un sogno ?
Come percepir
del “dopo” l’essenza,
inetti a concepir l’avvìo ?
Nella luce,
diafana mi appari.
Il tempo ti sfiora appena.
Mi dai un sorriso
ch’altri non vede.
Mi dici… in silenzio:
Pazienta!
Ciò che senti è tuo
nell’impotenza del tempo.
Per le strade birmane
rivoluzione di zafferano
chiama violenza cieca.
Comprensione almeno
ai custodi d’un credo antico
soffocati da istinti ancestrali
e forze “naturali”…
Fino al prossimo sfogo
di forze oscene
ancorché umane, naturali,
disperatamente comprensibili.
Continuo a scrivere “t’amo”
sui muri del tempo.
Disegno i miei sogni
con spray iridato.
Nella scarsella leggera
ne porto da sempre.
Scrivo in alto sui muri,
senza affanno,
perché tu possa meglio vedere.
In punta di piedi
vorrei uscire
dai tuoi sogni.
Le tue pupille
potrebbero dirmi l’assenza.
Se no…
il pianto delle mie.
Lancia in resta,
“sul cuore della terra”
affronto felice il dramma.
Solo… con te sola…
Quasìmodo forse ci guarda!
Giove non verrà
mia “Bauci”,
né ‘l messagger suo,
né altri in sua vece.
Ma ti abbraccerò alfin,
come quercia
il tiglio desiato.
Vedevo le sue dita
sottili mobili arrossate
sulle corde tese.
Ritmava il suo busto
l’andare e venire dell’arco.
Mi porgeva le note vibranti
vivaci e allegre in sol minore
di Fryderyk Chopin opera tre.
Scorgevo appena intorno a lei
ed a me altre figure,
i suoni tutti parevano suoi.
Eppur sentivo ‘l piano e ‘l violino.
Correvo dai suoi capelli
(che ingenua voleva fulvi
per apparir più tenera)
alla sua piccola bocca rosa
e alle sue mani;
ad altri affanni intente
quando l’arco depone.
Arrossate da diuturna fatica
le sue dita,
sulle corde tremando,
mi davan dolci fantasie.
Semplice operosa e dea
col suo arco in mano.
Anna da Poznan venuta,
che non conoscerò mai,
mi versava fantasie
in una coppa di suoni.
Nel museo di zoologia,
dopo mille animali,
dopo scheletri e farfalle,
scorgo un simulacro di dea:
la copia di Paolina del Canòva.
Mistero dell’infinita distanza
dal più evoluto primate
alla complessa beltà degli umani.
Idea del bello e dell’arte,
oggettiva o rappresentazione:
abisso insondabile!
Irriducibile distanza
del “pensiero” dal mistero
e dal suo perché.
Un sindaco gaio
con fascia tricolore
ti ricordava un “si”,
senza testi,
più volte detto.
Ti rimirava a lato
un giovane felice
che inteso aveva il senso
d’una conferma larga.
A me confuso,
splendida e felice,
parea dicessi:
Son io, mi riconosci?
Ed io ristavo
nell’abbagliante luce
degli occhi tuoi
e del sorriso.
Mi hai detto
del tuo dolore
quando mi son levato.
Di notte non m’hai chiamato
solo perché dormivo.
Ora son qui vicino
e di chiamarmi invoco.
La mia bambina,
“signora “ per legge,
ci guarda e sorride.
Un mondo di sogni
ancor non velato
da codici e archivi.
Fra rovine del passato
cerco tracce d’eventi.
Tessere di mosaici,
ruderi e fregi
in angoli oscuri
coperti di terra e polvere.
Brilla una pietra,
invano la giro…
solo un frammento di sogno!
Guitto appare
anche al mio barbiere
con smorfie e pose bècere,
dalla tivvù gridare
e toccar tutto.
Mescere Dante
a politica gentaglia
con volgari movenze
brandendo braccia e mani
senza ritegno alcuno.
Dice il barbiere,
aumenta il riso
quando è più volgare.
Dante non chiede
di far prologo e saluto
un’emissione oscena di rumori
con movenze da trivio.
La gente però plaude,
lo share solo s’elèva.
Un premio per l’autore
di poesia e prosa
dopo attenta lettura
di scritti di narcisi.
Poeti e scrittori illusi
che mille a mille
trasmettono lavori
per lettura e stampa.
Pochi di loro a caso
scelti fra tanti:
gli altri a pagar
stampa e diffusione
per mercati di parole.
Aleggia lieve verso me
il tuo sorriso,Saffo,
dalle morbide labbra
di quel marmo greco.
Delicato ha varcato millenni,
disastri e rovine.
Ti amava certo l’autore
e ti baciava svelando le labbra
per dare anche a me
della tua poesia il canto.
Regàle Saffo,
col suo scettro
fa bello chi s’ama.
Col canto e ‘l sorriso
l’amore c’infonde
di Eros tessitore.
Messaggini al cell:
parlano d’amore,
non tutti parlano d’amore,
non parlano d’amore.
Il mio rischio:
non parlar d’amore.